Dopo tutto cosa c'è da meravigliarsi? Cosa può provare la cornacchia nei confronti di un aquila, figlia del vento, che da sempre disdegna il basso e si compiace soltanto delle sconfinate solitudini? La compagna indivisibile del cielo, può forse confrontarsi alla pari con un animale che fa dello stormo e delle disgrazie altrui la propria forza? Non di certo. Ci ha pensato la natura a definirne le posizioni. Essa ha messo l'una a saziarsi delle carni dei cadaveri in putrefazione, l'altra a volare fiera, scomparendo verso il sole, con al fianco solo Dio. L'una è divenuta simbolo di disgrazia, malaugurio e carestia, l'altra simbolo di vittoria, dominio e prosperità.
Quanto rancore può provare invece la iena nei confronti del leone, costretta com'è dalla propria inferiorità fisica morale e spirituale a potersi alimentare solo e soltanto degli scarti lasciati signore incontrastato della savana dopo che questi ha finito di banchettare? Basta un suo sguardo per far tacere le rida stridule dello sciacallo, un suo ruggito per metterne in fuga a decine. La natura ha reso l'una simbolo di codardia e infamia, l'altro di onore, coraggio e nobiltà. "HIC SUNT LEONES" (Qui ci sono i leoni) si leggeva nelle antiche mappe imperiali, in riferimento a terre definite inconquistabili.
Cornacchie e iene hanno avuto sempre una vita comoda, eppure la storia ha celebrato col marmo e col granito sempre e soltanto la regina dei cieli ed il signore dei boschi. Forse il nocciolo della vicenda sta tutto qui. Una cornacchia non può generare un aquila, così come una iena non può generare un leone. E allora l'unico sentimento che questi due animali possono provare è l'odio, un odio profondo e viscerale, che solo un animo volgare può nutrire nei confronti della bellezza.
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