Roma 27 gen – “Ill.mo Signore
Gabriele D’Annunzio
Se gli
alleati protestano preghiamo telefonare Club Dada Berlino. Conquista grandiosa
impresa dadaista per il cui riconoscimento interverremo con tutti i mezzi.
L’atlante mondiale dadaistico DADAKO (editore Kurt Wolff, Leipzig) riconosce
Fiume già come città italiana.
Club Dada. Huelsenback. Baader. Grosz. ”
Questo il telegramma inviato al “Corriere della Sera” da 3 artisti
del Club Dada di Berlino, in occasione dell’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio. Era il
12 settembre 1919 quando il poeta, partito da Ronchi alla testa di una colonna
di volontari, diede vita ad una delle più belle avventure italiane.
Un’avventura in aperto contrasto con il mondo che si andava delineando dopo la
I Guerra Mondiale.
Fiume nei
secoli è stata al centro di contese per la sua posizione strategica
sull’Adriatico. Conquistata dai Romani nel 60 a.C. passò poi sotto
l’Austria, l’Ungheria, per brevissime parentesi anche sotto Venezia e i
franchi, mantenendo però sempre una certa autonomia e una certa continuità
politica-economica e soprattutto culturale con l’Italia. Nel 1867 però venne
unita come “corpus separatum” al Regno d’Ungheria, ovvero con
un’amministrazione autonoma con un proprio governatore e la possibilità di
utilizzare l’italiano come lingua ufficiale.
Era dunque una città
italiana che però
non riusciva a ricongiungersi con la propria madrepatria . Neanche dopo la
firma del Trattato di Londra nel 1915. Firmando tale trattato l’Italia
accettava di entrare in guerra al fianco della Triplice Intesa (Francia,
Inghilterra e Russia) per ricevere, in caso di vittoria, il Trentino, il Sud
Tirolo, la Venezia Giulia, la Dalmazia, alcune isole dell’Adriatico, alcuni
possedimenti in Albania e Turchia, la conferma della sovranità in Libia e
Dodecaneso e l’intera Istria. Ad eccezione, però, di Fiume.
Ma il 30 ottobre 1918, quando ormai era chiaro che l’impero
austro-ungarico era giunto alla dissoluzione, il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume, appena
costituitosi, proclamò l’annessione della città al Regno d’Italia, in base al
diritto dell’autodecisione delle genti. A ciò si opposero gli USA, che con il
presidente Wilson volevano ridisegnare i confini europei in modo equilibrato
per scongiurare un’altra guerra. Nell’idea malsana di Wilson Fiume non
rientrava nel territorio italiano, sebbene la maggior parte della popolazione
fosse italiana.
Si alimentò così, soprattutto tra i reduci e i nazionalisti,
l’idea della “vittoria mutilata” che portò il Vate ad occupare
per 16 mesi la città di Fiume. D’Annunzio chiese subito l’annessione al Regno
d’Italia. Il governo italiano, nella persona di Nitti prima, e Giolitti poi,
rifiutò. Rifiutò per firmare il Trattato di Rapallo il 12 novembre 1920 con il
regno serbo-croato-sloveno, che prevedeva la costituzione di Fiume in Stato
Libero Indipendente.
Da lì a poco più di un mese, l’esercito italiano entrò a Fiume
realizzando il famoso “Natale di sangue” in cui furono uccisi decine di
legionari fiumani e fu spezzato uno dei più bei sogni italiani.
Fu formato lo Stato
Libero di Fiume, riconosciuto dai principali stati, compresi USA, Francia e
Inghilterra. Il 24 aprile 1921 divenne Presidente dello Stato Libero
l’autonomista fiumano Riccardo Zanella. Ma circa un anno dopo rassegnò le
dimissioni in seguito al colpo di stato del nazionalista italiano Giunta. Nel
settembre 1923 il compito di tutelare l’ordine pubblico passò al generale
italiano Gaetano Giardino.
Intanto
Mussolini, divenuto anche Ministro degli Esteri, dette mandato a Salvatore
Contarini di avviare le trattative con Belgrado per arrivare alla soluzione
della questione fiumana, ovviamente in favore dell’Italia.
Fu così che il 27 gennaio 1924, esattamente 91 anni fa,
venne firmato il Trattato di Roma con cui il centro storico di Fiume e la striscia
di territorio che dava continuità territoriale con la penisola italiana furono
annessi all’Italia. Alla Jugoslavia andava il delta dell’Eneo,
unico piccolo territorio con presenza slava.
Fiume
divenne capoluogo di provincia italiano e rimase italiana fino alla fine della
II Guerra Mondiale quando i sentimenti anti-italiani dei partigiani collimarono
con quelli del maresciallo slavo Tito, che portò gli italiani di Fiume,
dell’Istria e della Dalmazia a lasciare le loro terre.
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