Un’esistenza,
quella di Onoda, che ha intrecciato storia reale e vissuto immaginato: ex
ufficiale dell’intelligence, continuò a combattere per decenni sull’isola
filippina di Lubang, dove era stato distaccato nel 1944, malgrado la resa del
Giappone nella Seconda guerra mondiale. E quando finalmente fu trovato, e poi
arrestato nella giungla dell’isola, nessuna personalità, nessun argomento,
riuscirono a convincerlo che l’Esercito imperiale era stato definitivamente
sconfitto: fedele al suo impegno militare. Personificazione del samurai
moderno, pronto a sacrificare un’intera esistenza alla divisa e al voto
bellico. Convinto della sua missione, ha continuato a considerarsi ancora in
servizio effettivo e permanente, e soltanto con l’intervento del suo ex
comandante, che gli ordinò di deporre finalmente le armi, Onoda decise una
volta per tutte di porre fine alla “sua” guerra.
Un
conflitto, quello che ha impegnato Onoda ben oltre quelli che sarebbero stati i
suoi doveri militari, a cui il soldato è sopravvissuto, con altri tre
commilitoni, dimostrandosi più forte dei bombardamenti e degli attacchi delle
truppe Usa e alleate. Un conflitto, che non ha piegato la volontà di Onoda
neanche quando, sempre all’oscuro della sconfitta nipponica, uno dei
militari lasciò il gruppo nel 1949, e si arrese volontariamente: un evento che
avrebbe potuto segnare una svolta, e mettere fine alla vita bellica di Onoda. A
quel punto, infatti, la diplomazia giapponese, informata di quanto
accaduto, decise di cominciare a muoversi per il recupero dei superstiti. Ma,
ancora una volta, Onoda rimase immune a qualunque tipo di accadimento. Persino
quando altri due suoi compagni d’avventura morirono a seguito di scontri a
fuoco con gli abitanti dell’isola, lasciando Onoda come unico sopravvissuto,
lui scelse di non ritirarsi.
Dovrà
arrivare il 1974, anno della svolta cruciale, perché Onoda si arrenda: a marzo di
quell’anno, dunque, dopo l’arresto e la chiusura della “sua interminabile
guerra”, il tenente fu ricevuto con tutti gli onori dal presidente filippino
Ferdinando Marcos, in compagnia della moglie Imelda. Rientrato in patria,
accolto con le dovute celebrazioni, dopo appena un anno decise di trasferirsi
in Brasile dove, deposte finalmente le armi, cominciò a vivere una vita
normale: si sposò, e gestì una piantagione con successo. E quando nel 1984
tornò finalmente in Giappone, ufficializzò la sua richiesta di far riposare in
patria le sue stanche spoglie una volta finiti i suoi tumultuosi giorni. E così
è stato.
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