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venerdì 20 febbraio 2015

Il ricordo e la memoria


Il 10 febbraio scorso si sono ricordate le foibe e l’esodo giuliano-dalmata dei nostri connazionali orientali. La ricorrenza cade nell’infausto giorno che riporta alla memoria la firma al trattato di pace parigino del 1947, con cui vennero assegnate agli Iugoslavi l’Istria e buona parte della Venezia Giulia storica, oltre alla Dalmazia. I massacri durarono dal 1943 al 1945 e oltre, considerando che la pulizia etno-culturale durò sino agli anni ’50, con tanto di liquidazione radicale dell’identità italiana in Dalmazia.
Mi sembra abbastanza palese che questo sia solo un contentino concesso agli Italiani dal proprio stato-colonia atlantista, principalmente preso dalle ricorrenze del più noto 27 gennaio e dall’ormai quasi centenaria sudditanza prestata con zelo ai padroni d’Oltreoceano, tesa a soddisfare ogni loro desiderio e capriccio.
La giornata della memoria del 27 gennaio, dedicata alle vittime ebraiche della cosiddetta Shoah, sembra assorbire tutte le forze della RI, tanto che i suoi media nazionali (si fa per dire) gareggiano nel proporre film, documentari, speciali e quant’altro in concomitanza con quella data, e oltre. Ormai, più che i giorni della merla, l’ultima settimana di gennaio richiama i giorni dell’Olocausto, come sogliono chiamarlo tutti quanti.
Il giorno del ricordo stabilito pel 10 di questo mese invece, non ha la stessa forza e la stessa suggestione: le vittime italiane ed europee sono di serie B al cospetto di quelle ebraiche, e non mi si venga a dire che sto facendo demagogia. Medesimo discorso vale invero per le vittime arabe: conosciamo a menadito i lager tedeschi ma quanti conoscono lugubri nomi come Deir Yassin, Sabra e Chatila, Qana? Giusto per citarne qualcuno, la lista delle porcherie israeliane è lunga.
Anche ricordo rispetto a memoria appare semanticamente più debole ed effimero, una scelta linguistica sicuramente voluta per sottolineare la preminenza del 27 gennaio. E non solo per questioni di calendario.
Ma si sa. La Shoah può contare sull’industria di Hollywood che, a ben vedere, ha creato un genere cinematografico ad hoc per soddisfare le esigenze degli Ebrei. Ogni anno vengono sfornate pellicole rigorosamente incentrate su nazionalsocialismo e Olocausto, per mantenere viva la memoria su quello che, a detta di molti nostrani servi, è il “male assoluto”. Vorrei però ricordare che un conto sono i nazionalsocialisti storici, un altro i nazzzisti romanzati degli Americani. Americani notoriamente ammalati di protagonismo e di messianismo, che li vedrebbe al centro di mille avventure intenti a combattere i nemici della pace, della libertà e dell’umanità, di cui loro sono strenui paladini (?).
Ma certo: Hiroshima, Nagasaki, Gorla, Dresda, i massacri del Vietnam, dell’Afganistan e dell’Iraq attestano questa innata filantropia statunitense.
Proprio vero che chi vince le guerre si inventa le balle che vuole, signori miei.
Come se non bastasse la smodata quantità di pellicola e carta dedicata alle vicende storiche (a volte torbide) intercorse tra il ’33 e il ’45 del secolo scorso (periodo storico che sembra essere l’unico mai avvenuto in tutta la storia del globo, visto che pare che certa gente abbia in testa solo quello), in soccorso degli Ebrei arrivano anche le liberticide leggine anti-revisioniste, che impediscono un sereno dibattito su quanto accaduto in quel periodo. La vulgata vuole, esige e pretende che si creda a quegli accadimenti manco fosse il Vangelo, senza il minimo dubbio e la minima esitazione, e chi si oppone proponendo uno studio senza paraocchi e pastoie viene bollato come criminale. Se questo non è dogmatismo!
In Germania chi “nega”, o meglio revisiona, finisce in galera, e la memoria va ai vari Stolz, Mahler, Fröhlich, Honsik, Zündel, Irving, ma anche a Faurisson e al nostrano Moffa.
A ben vedere, l’etichetta “negazionismo” è impropria, e coniata dai detrattori di questi studiosi, ed è meglio parlare di “revisionismo”, che poi riguarda anche le vicende belliche e resistenziali, visto che questa repubblica reputa intoccabili quegli avvenimenti, e guai a pensar male di badogliani, partigiani e Alleati.
Proprio la scorsa settimana, nonostante il 10 febbraio, si è fatto il primo decisivo passo in direzione anti-revisionista, stabilendo che chi non si piega supinamente alla vulgata può incorrere in un’aggravante della già esistente, e vergognosa, Mancino. Passo successivo sarà il reato vero e proprio.
Questa concomitanza mica deve stupire: agli Italiani il contentino del 10 febbraio, agli Ebrei la facoltà di denunciare e condannare tutti coloro che metteranno in dubbio la loroShoah. Per chi non l’avesse ancora capito, i morti non sono tutti uguali, perché alcuni saranno sempre più uguali degli altri.
Ve lo immaginate il negazionismo delle foibe, o del genocidio armeno e greco ad opera dei Turchi, o quello arabo-palestinese a opera degli stessi Ebrei israeliani? Fantascienza. Nessuno si sognerebbe di sanzionare chi mette in dubbio il genocidio di popoli europei e indoeuropei, proprio perché rispetto a Ebrei o Americani valgono ben poco.
Altrimenti perché queste diversità di trattamento? Non venitemi a dire che è questione di numeri, perché i morti non dovrebbero essere discriminati in base al numero. Cosa inoltre falsa, perché ogni 11 settembre quelle 3 migliaia di vittime americane degli attentati del 2001 vengono ampiamente strumentalizzate per nuove crociate atlantiste contro il Medioriente islamico e il pericolo “nazifascista” di ritorno.
Chi vede NS e fascisti ovunque dovrebbe prima imparare a guardare il marcio che dilaga in casa sua; troppo comoda rievocare, a senso unico, vicende di settant’anni fa dimentichi dei crimini dell’altra parte. Ve le ricordate le marocchinate dei Francesi? E la Brigata Ebraica?
Voglio esprimere il mio più sincero ricordo nei confronti di chi venne trucidato dai partigiani comunisti di Tito, in combutta pure con quelli nostrani, perché fascista o più semplicemente, e frequentemente, perché italiano: distinguo regionali risuonano stucchevoli, ogni italofono avrebbe fatto una brutta fine trovandosi nel raggio d’azione dei criminali titini con la stella rossa.
Parimenti, esprimo vicinanza a chi è dovuto andarsene da casa sua, perché cacciato non solo dai rossi, ma pure dagli iniqui trattati di “pace” dei vincitori. Goriziano, Carso, Istria, Quarnaro sono terre assolutamente italiane, e anche l’illirica e veneta Dalmazia genuina è più vicina agli Italiani che ai Croati o agli Sloveni. Come gli stessi Albanesi.
Non dimentichiamoci mai di quei morti, di quegli sfollati, di quelle vittime dell’odio partigiano e della pulizia etnica iugoslava, perché il loro ricordo riposa in noi e solo in noi Italiani, assieme alla memoria da tramandare negli anni. Tutto quanto è attorno a noi, a partire dal nostro stato, che di italiano ha sempre meno, sarà sempre troppo preso da Hollywood, dal 27 gennaio, dalla propaganda israelo-americana.
E non dimentichiamoci mai che tutta la Venezia Giulia storica è italiana, bisognosa di irredentismo. Lo dobbiamo anche e soprattutto a quei morti, mai abbastanza ricordati e onorati, perché “solo” italiani.
Ave Italia!

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